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E’ giusto finanziare il terrorismo pur di salvare Greta e Vanessa?

Per liberarle siamo dovuti scendere a patti con i terroristi, finanziandoli. Siamo sicuri che sia giusto?
A cura di Charlotte Matteini
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Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono state liberate. Le due cooperanti italiane rapite in Siria dai miliziani di al-Nusra nel luglio 2014 sarebbero state trasportate in Turchia, pronte a tornare in Italia già questa notte. Sarebbe una bellissima notizia, non fosse che sulla loro liberazione aleggia il sospetto del pagamento di un cospicuo riscatto da parte dello Stato italiano. Un account Twitter appartenente a un gruppo vicino ai ribelli siriani parla di circa 12 milioni di euro. Non sarebbe nemmeno la prima volta, visti i precedenti . Numerose sono state le trattative di rilascio, che si vocifera insistentemente siano andate a buon fine solamente dopo la liquidazione di cospicue somme in favore dei gruppi terroristici responsabili dei rapimenti. Se ne parlò per Giuliana Sgrena, per le due Simone, per Rossella Urru e molti altri casi. Indiscrezioni mai confermate, provenienti però da fonti d’intelligence e giornalistiche piuttosto accreditate.

Il primo gennaio 2015 Greta e Vanessa apparvero in un video, presumibilmente girato qualche giorno prima, facendo un accorato appello al Governo italiano, affinché si prodigasse per la loro liberazione. “Il governo è responsabile delle nostre vite”, disse Vanessa. Le ragazze, però, non furono spedite dal Governo italiano in Siria, ma entrarono illegalmente, sfruttando i propri contatti, senza alcuna protezione, nonostante fosse un territorio sconsigliato dalla Farnesina. I miliziani di al-Nusra, rivendicando il rapimento, chiesero il pagamento di un riscatto in cambio della liberazione delle due ragazze. E dopo oltre sei mesi di detenzione, a distanza di 15 giorni da quell’appello, le due ragazze, magicamente, sono state rilasciate. "A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina", era solito dire Giulio Andreotti. E il sospetto che effettivamente l’Italia abbia pagato è grande, tanto più che nel settembre 2014 perfino Lapo Pistelli, viceministro degli Esteri, dichiarò “Sì, a volte lo facciamo”, riferendosi alla prassi del pagamento di riscatti.

E’ giusto pagare riscatti in cambio della liberazione di ostaggi? La domanda non è banale, ma la risposta dovrebbe essere scontata. No, non è giusto. Potrebbe sembrare una presa di posizione disumana, me ne rendo conto, ma dietro la pratica del pagamento di un riscatto c’è molto più della semplice trattativa per salvare la vita a due ragazze poco più che ventenni. Il risvolto della medaglia della buona azione è il finanziamento del terrorismo internazionale. E questo lo sa bene anche l'Italia, dal momento che nel nostro Paese vige una legislazione molto severa in materia, che nei casi di rapimento, si ricordino quelli dell’Anonima Sarda negli anni ’80 e ’90, impedisce il pagamento dei riscatti imponendo il blocco di tutti i beni materiali e finanziari dei congiunti dell’ostaggio, giusto per fare un esempio calzante. Elargire milioni di euro ai gruppi fondamentalisti produce un solo effetto: permette loro di ottenere ingenti somme da impiegare per comprare armi ed esplosivi, ammazzare innocenti, pianificare stragi e rapire altre persone così da riuscire a ottenere ulteriori iniezioni di liquidità. E così via, un circolo vizioso che si autoalimenta, praticamente impossibile da combattere.

Un’inchiesta condotta da Rukmini Callimachi, reporter del New York Times, ha evidenziato come la sola Al Qaeda tragga oltre la metà dei propri fondi grazie ai riscatti percepiti in cambio del rilascio degli ostaggi. Si parla di circa 165 milioni di dollari in circa 5 anni. Incalcolabili i profitti prodotti dalla moltitudine di gruppi terroristici sparsi in tutto il pianeta.

A differenza dell'Italia, Inghilterra e USA rifiutano categoricamente di pagare riscatti ai rapitori dei loro connazionali. Agiscono con operazioni d’intelligence e i raid militari, ma non finanziano il crimine. Anche a costo della vita? Sì, anche a costo della vita del rapito. Non solo una questione etica e finanziaria, ma anche tattica: evitare che i propri cittadini vengano esposti al pericolo di rapimenti perché considerati “monetizzabili”.

La questione è meno sentimentale e più strategico-geopolitica di quanto non possa sembrare: si può combattere il terrorismo finanziando i terroristi? E’ questa la domanda a cui dobbiamo rispondere, al netto della comprensibile pietas umana.

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