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Dividere i prezzi di elettricità e gas: “La prima cosa che faremo”, che Meloni non ha fatto

Separare il prezzo del gas da quello dell’elettricità. E farlo subito, a livello nazionale, senza aspettare l’Unione europea. Questo è stato uno degli slogan preferiti di Giorgia Meloni in campagna elettorale, per affrontare il tema del caro bollette. Nel primo decreto del nuovo governo sull’energia, però, da Meloni è arrivata una clamorosa marcia indietro.
A cura di Marco Billeci
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Giorgia Meloni (Roberto Monaldo / LaPresse)
Giorgia Meloni (Roberto Monaldo / LaPresse)

Parola d'ordine, disaccoppiare. Per settimane è stato questo il mantra di Giorgia Meloni, per affrontare il problema del caro energia. Separare il prezzo del gas da quello dell'elettricità e farlo subito, a livello nazionale, senza aspettare i tempi lunghi dell'Europa, in pieno stile da retorica sovranista. Disaccoppiare, appunto. Non c'è stato comizio, intervista, durante la campagna elettorale, durante il quale l'allora candidata di Fratelli d'Italia non abbia martellato su questo punto. Poi, Meloni ha vinto le elezioni, è diventata presidente del Consiglio, il 10 novembre ha varato il primo decreto sul tema energetico e…. di disaccoppiamento, nemmeno l'ombra.

Piccolo passo indietro. Dall'inizio della cosiddetta crisi del gas, il funzionamento del mercato dell'energia è nel mirino di quasi tutti gli osservatori. In Europa, infatti, il prezzo dell'elettricità prodotta con tutte le fonti disponibili – dalle rinnovabili in giù –  è legato a quello del gas. In pratica, qualsiasi sia il costo di produzione, tutta l'elettricità viene "venduta" al prezzo di quella generata dal gas. Il meccanismo ha funzionato fino a quando i prezzi del gas sono rimasti stabili, ma è entrato in crisi con l'esplosione del prezzo del metano, che ha trascinato verso l'alto quello dell'energia, prodotta in altro modo.

Da mesi si chiede alla Commissione europea di intervenire per correggere questa distorsione, separando la dinamica del prezzo del gas, da quello delle altre fonti. Ad oggi, però, non sono ancora arrivate risposte. E Giorgia Meloni, dai banchi dell'opposizione, ha avuto gioco facile a chiedere al governo Draghi di muoversi in autonomia, senza aspettare la Ue. Una richiesta che – dopo la caduta dell'esecutivo e l'apertura della campagna elettorale – è diventata uno slogan da ripetere ossessivamente.

Parola d'ordine, disaccoppiare

Ecco una piccola rassegna, solo a titolo di esempio, delle dichiarazioni di Meloni.

  • 31 agosto: "Scollegare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, è una proposta che siamo disposti a votare anche domani”
  • 9 settembre: "Il disaccoppiamento può essere realizzato subito anche a livello nazionale. E secondo i nostri calcoli avrebbe un costo sostenibile e un effetto immediato sulle bollette”
  • 12 settembre: "Non so perché non è stato fatto. Da qui a marzo costa 3-4 miliardi, che si possono prendere dai nuovi fondi della programmazione europea, dall’extragettito, dagli extraprofitti"
  • 16 settembre: "Il disaccoppiamento tra prezzo del gas e delle altre forme di energia, dovrebbe essere fatto a livello europeo, ma deve essere fatto intanto a livello nazionale"
  • 19 settembre: "Se il governo non lo dovesse fare in questi giorni, sarebbe un primo provvedimento del nostro governo"

E via dicendo.

Con queste premesse, tutto lasciava pensare che, una volta arrivata a palazzo Chigi, Meloni avrebbe dato immediatamente seguito alle sue parole. E la prima occasione utile si è presentata il 10 novembre, con l'approvazione in Consiglio dei Ministri del decreto, dove sono stati inseriti i nuovi aiuti per famiglie e imprese, contro il caro energia. E invece, nel testo approvato, di disaccoppiamento tra gas ed elettricità non si parla per niente. D'altra parte, già nelle ultime dichiarazione del presidente del Consiglio, il tema sembrava scomparso dai radar.

Più facile a dirsi che…

Avremmo voluto chiedere conto a Meloni di questa retromarcia, nella conferenza stampa successiva al varo del nuovo decreto, ma non è stato possibile. Allora possiamo solo azzardare delle ipotesi. La più realistica, è la difficoltà pratica nel passare dalle parole, alla realizzazione pratica della misura. Al momento, una forma di disaccoppiamento dei prezzi a livello nazionale, è stata autorizzata dall'Unione europea, solo per Spagna e Portogallo. Tuttavia, la "soluzione iberica" è considerata in Europa  non replicabile per altri Stati, a cominciare dall'Italia, per una serie di motivi tecnici e di conformazione geografica.

Forzare le cose, allora, vorrebbe dire per il governo con ogni probabilità arrivare a una scontro con l'Unione europea. Una strada poco praticabile per Meloni, nel momento in cui si chiedono nuovi fondi alla Ue, proprio in relazione all'emergenza energetica, mentre si  profila un braccio di ferro sui dossier migranti e Pnrr. N0n a caso, già nel suo discorso, il 26 ottobre, nel giorno del voto di fiducia in Senato, Meloni aveva ridimensionato i suoi obiettivi, rifugiandosi dietro una arzigogolata perifrasi: "Se non sarà l’Europa a dare risposte, noi siamo pronti a lavorare su un disaccoppiamento crescente, anche sulla base di quelle che saranno le determinazioni europee, mettendole in sinergia con quelle nazionali”.

Peccato che, ancora nelle conclusioni dell'ultimo Consiglio europeo del 20 ottobre scorso, dedicato ai problemi di approvvigionamento di gas, la riforma del mercato dell'energia è  indicata come una prospettiva tutt'ora lontana, da realizzare, forse, nel 2023. Nel frattempo, però, Giorgia Meloni sembra aver archiviato gli slogan. E  l'unico disaccoppiamento finora realizzato, è stato quello fra le promesse di campagna elettorale e la realtà dei fatti.

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